Nuovi studi

Luci e ombre dei social media:
spesso negativi per gli adolescenti
aiutano (a sorpresa) gli anziani

Lunedì 17 luglio 2023 circa 6 minuti di lettura In deutscher Sprache
Laura Marciano, postdoc alla Harvard Chan T.H. School of Public Health, e Peter Schulz, professore di  teorie della Comunicazione e Comunicazione Sanitaria all’USI (foto di Chiara Micci / Garbani)
Laura Marciano, postdoc alla Harvard Chan T.H. School of Public Health, e Peter Schulz, professore di teorie della Comunicazione e Comunicazione Sanitaria all’USI (foto di Chiara Micci / Garbani)

Risultati contrastanti da un workshop organizzato a Lugano dall’USI, in collaborazione con l’Università di Harvard. Il ruolo dei social viene frequentemente descritto in modi che non colgono le molte sfumature  
di Valeria Camia

I social media sono ormai parte integrante della vita delle persone. Domandarsi, allora, quale ruolo e quali effetti abbiano sulla nostra salute e per il nostro benessere non è più una questione evitabile. Già nel 2018, per citare uno dei numerosi studi, un’indagine del Pew Research Center di Washington (Stati Uniti) aveva evidenziato, esaminando un campione di circa 750 giovani tra i 13 e i 17 anni, che il 45% era online quasi costantemente e il 97% utilizzava una piattaforma di social media come YouTube, Facebook, Instagram o Snapchat. A cinque anni da questi risultati, è cresciuta l’attenzione del mondo scientifico per i fattori culturali, contestuali e socio-economici legati all’uso dei social. Allo stesso tempo il mondo accademico è sempre più impegnato a discutere dell’appropriatezza di diversi disegni di ricerca, e a valutare come i risultati degli studi scientifici possano trovare applicazioni pratiche. 

Di questi temi si è discusso a Lugano dal 26 al 28 giugno 2023 in occasione del convegno dal titolo Social Media and Well-Being: A multi-disciplinary dialogue (Social media e benessere: Un dialogo multidisciplinare), organizzato dalla Facoltà di comunicazione dell’Università della Svizzera italiana (USI), in collaborazione con  la Harvard T.H. Chan School of Public Health di Boston e con la Amsterdam School of Communication Research.

«Nel Regno Unito - spiega uno dei ricercatori presenti al convegno, Peter Schulz, direttore dell’Istituto di comunicazione e salute dell’USI - circa il 73% degli adolescenti afferma che i social media rappresentano una distrazione dai compiti scolastici, con oltre la metà di loro che indica che tali piattaforme ostacolano le interazioni sociali. In varie altre parti d’Europa, circa il 63% degli adulti ritiene che i social media portino via un tempo eccessivo».

Oggi, con l’aumentata consapevolezza riguardante questa dipendenza dai media, crescono anche le strategie per gestire il tempo che trascorriamo su Internet, e sempre più frequentemente arrivano inviti, da parte degli esperti, per ridurre l’uso dei social media o per utilizzare applicazioni capaci di limitarne l’accesso. Ciò nonostante, però, quale sia l’efficacia di tali metodi di “disconnessione” rimane incerto: insomma, manca ancora una piena comprensione di come, quando e perché il “distacco” dai social funzioni veramente.

«Una recente revisione di 12 studi - dice Schulz - ha gettato luce su questa questione, rivelando risultati diversificati degli interventi di disconnessione, sul senso di benessere: positivi, ma anche negativi e inconcludenti. Sono state formulate varie spiegazioni per questi risultati contrastanti. Una, in verità, a monte di tutte le altre, è che non è sempre chiaro nemmeno cosa si intenda esattamente per “disconnessione” e per "disintossicazione": una totale astinenza, che comprenda anche l’invio degli SMS o la ricezione di una chiamata (una scelta drastica, che peraltro sarebbe difficile da attuare, anche per motivi pratici)? Oppure soltanto l’astensione dall’utilizzo dei social network?».

Aggiunge il professor Kasisomayajula “Vish” Viswanath, direttore del Lee Kum Sheung Center for Health and Happiness presso la Harvard TH Chan School of Public Health: «Le dichiarazioni e persino le politiche che dipingono a grandi linee il ruolo dei social media nella vita quotidiana non colgono le molte sfumature esistenti. Questo avviene perché gran parte dell’attenzione rivolta al ruolo dei social si è concentrata sui possibili effetti negativi del loro uso, in particolare per quanto riguarda gli adolescenti e la popolazione più giovane». Tuttavia, la ricerca del professor Viswanath e il lavoro di altri studiosi dimostrano che i social media possono anche avere un effetto positivo sul benessere delle persone. Ad esempio, spiega Viswanat, «le persone che fanno parte di una minoranza etnica, razziale o di orientamento sessuale trovano i social media utili per entrare in contatto con persone simili a loro, o che la pensano allo stesso modo: in questo caso, i social media favoriscono l’accesso a comunità che le persone potrebbero non trovare in un’area geograficamente vicina. Allo stesso modo, gli immigrati o i migranti possono connettersi con le famiglie e gli amici attraverso i social media, mantenedo più facilmente le loro relazioni. Si tratta insomma di un altro tipo di capitale sociale, il cosiddetto "capitale sociale di collegamento”».

Non solo i giovani, però: per quanto la maggior parte degli studi sugli effetti dei social (e sull’astinenza da questi strumenti di comunicazione) sia stata condotta soprattutto sugli studenti, ci sono anche alcune evidenze - in alcuni casi inattese - sull’evoluzione del coinvolgimento digitale degli anziani (persone over 65) e sul miglioramento del loro benessere. «Sebbene i tassi di utilizzo dei social media tra gli anziani siano ancora inferiori rispetto ai gruppi di età più giovane - precisa Schulz - il loro approccio a queste piattaforme sta aumentando costantemente. Nell’ambito di uno studio rappresentativo condotto in Svizzera è emerso infatti che, pur essendo ancora bassa (29%) la percentuale di over65 che utilizzano i social, l’81% di loro li usa per chattare e scrivere ad altre persone, ottenendone informazioni o incoraggiamento emotivo, indipendentemente dalla posizione geografica e dall’orario. Gli anziani, insomma - continua Schulz - apprezzano i social media, perché rappresentano un modo facile per avviare il contatto e mantenere le relazioni con familiari e amici. Uno studio condotto negli Stati Uniti ha anche mostrato che una maggiore frequenza nell’uso dei social media favorisce un aumento della frequenza dei contatti sociali e dell’impegno sociale (con un conseguente, minore isolamento), il che a sua volta contribuisce ad abbassare i livelli di solitudine».

Anche dal Ticino arrivano studi che sottolineano come l’uso dei social media possa avere effetti negativi su alcune persone, ma anche positivi su altre. In particolare, le ricerche di Laura Marciano, postdoc alla Harvard Chan T.H. School of Public Health, sottolineano come là dove ci si concentra solo sugli esiti psicologici negativi, rimangono nascoste le forze sociali (dalla famiglia agli amici), o contestuali (come la solitudine e le attività ricreative post-scolastiche, nel caso dei giovani), o culturali, che modellano l’uso dei social media e i loro esiti. Lo studio HappyB, in particolare, che ha incluso più di 1500 adolescenti del Ticino per studiarne il legame tra l’uso di smartphone, social media e felicità, ha mostrato che l’effetto dei nuovi media non è mai unidirezionale.